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La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita. Il problema dell’autocommiserazione.

Sono i primi appunti che Joan Didion scrive pochi giorni dopo la perdita del marito John, morto d’infarto una sera a tavola il 30 dicembre 2003. Nel 2005 muore anche la figlia adottiva Quintana. Questi appunti andranno ad aprire il suo libro più conosciuto, L’anno del pensiero magico (traduzione di Vincenzo Mantovani, Il Saggiatore, 2006).

È certamente un libro sul lutto, sulla malattia, sulla morte, scritto come un memoriale sul dolore ma con la precisione di un’indagine giornalistica – Joan Didion, icona della cultura nordamericana del dopoguerra, fu tra le principali esponenti del New Journalism.

Prima, dopo

L’istantaneità del passaggio dalla normalità alla catastrofe, dopo il quale tutta la vita viene ripensata, riconsiderata, riformulata: questo, il centro narrativo. È una questione che mi interessa da che ho memoria, ma su cui ho iniziato a scrivere qualcosa soltanto dopo la malattia, la prima delle due oncologiche che conto a oggi.

Il tempo che segue a un evento rovinoso è un tempo straordinario, cioè fuori da ogni ordinarietà immaginabile, lontano da qualunque consuetudine nota; è uno spartiacque nella propria storia, una cesura tra un prima e un dopo. Si perlustrano i fatti alla ricerca di un significato (che non c’è), si cerca di capire, di riscrivere la storia.

Il 2023 è stato l’anno del mio pensiero magico. Con minor impeto, prosegue da allora fin qui. Che ci si fa, con il proprio materiale?

Mettere a disposizione il dolore privato

Continuo a portare avanti questo blog, Progetto Kintsugi, con un’intenzione credo affine a quella di certe scrittrici e certi scrittori che – attraverso il memoir ma con irresistibili contaminazioni tra fiction e non – indagano, cercano di comprendere, di mettere a posto le cose sulla pagina, riscriverle come una storia che sia di qualche interesse. Si documenta, si testimonia, ma anche si narra, ci si ispira, si vuole ispirare.

Al contempo, si chiama a partecipare un Tu, un Voi, un pubblico di lettrici e lettori con cui risuonare. Così che, da una storia privata, ne nasca una potenzialmente universale, in quanto – con una lingua ben sorvegliata e progettata allo scopo – racconta cose che ci riguardano tutti, che capitano o potrebbero capitare a noi mortali.

Comunque, non ci fissiamo con gli stadi

Ieri ho iniziato il quarto ciclo di chemio e immunoterapia: carboplatino, gemcitabina, pembrolizumab. Il quarto doveva essere l’ultimo prima di una pausa a giugno, invece no, non ci sarà una pausa, al massimo ci sarà una settimana di riposo in più fra un ciclo e l’altro. Controlli in itinere, sì, una TAC total; nuova visita con il mio Gran Maestro russo, sì; eventuale intervento chirurgico se adesso abbiamo raggiunto l’operabilità, sì. Ma no, nessuna sospensione delle cure. Ah.

Pare che la stadiazione dei tumori non sia più in voga tra i medici.

Tra loro si usa sempre meno parlare di stadi (resiste invece il linguaggio clamoroso dei media quando, per esempio, il 10 agosto 2023 Michela Murgia muore per un «carcinoma renale al quarto stadio con metastasi al cervello, alle ossa e ai polmoni»).

«Annalisa, a che stadio è?» fu la prima domanda che mi sentii rivolgere all’inizio di una telefonata brusca e litigiosa, senz’altro inopportuna, la sera del 20 febbraio 2023, poco dopo la diagnosi. Io non lo sapevo, con nessun medico ne avevo parlato, in nessun referto era scritto con chiarezza.

Adesso, in tempo di recidiva con infiltrazione cutanea, per la prima volta in due anni lo chiedo io alla mia oncologa: a che stadio è, c’è uno stadio?

Lei si esaspera un po’, scuote il suo caschetto biondo, si toglie gli occhiali, vorrebbe evitare. Poi tutto d’un fiato mi dice che: ormai non si parla più di stadi, se proprio vogliamo parlarne allora diciamo che, al momento, sarebbe uno stadio quattro però all’apparenza non ci sono metastasi, adesso vediamo con la TAC di giugno, diciamo che è un quattro atipico, anzi no, diciamo che magari è un tre perché il tumore è localmente avanzato e ha coinvolto la cute, prova ad attaccare a livello linfatico, diciamo che è senz’altro una recidiva aggressiva, un tumore ignorante, però su, Annalisa, non ci fissiamo con gli stadi! Non c’è niente da capire, la malattia si cura un passo alla volta, solo un passo alla volta. Ci sono ottime probabilità di sopravvivenza, anche a lungo termine.

The Therapy Must Go On

Continuiamo, dunque.

Io e il mio Bat-apparecchio ci stiamo ancora affiatando. Non è stato un inizio promettente, il suo primo utilizzo alla terapia di fine aprile è stato doloroso, dicono perché erano passate appena due settimane dall’intervento di impianto, c’era ancora tumefazione. In effetti, alle successive l’ingresso dell’ago di Huber ha fatto meno male.

Però non mi piace, avere il port. Con le dita percorro il rigonfiamento visibile sotto la pelle, una specie di grosso bottone, un pulsante a ventosa da premere ogni volta per inserire l’ago. Non mi piace. Non mi piace il tubicino inserito nella giugulare, vederlo come un serpentello che dorme a metà del collo. Me ne vado in giro con questo intruso nel petto, mi sento un androide.

Diario per John. Questo fatto di esistere o non esistere

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A proposito di Joan Didion. Di recente, il 25 aprile, è stato pubblicato postumo il suo Diario per John (traduzione di Sara Reggiani, Il Saggiatore, 2025). Lei, morta nel 2021, non aveva dato il consenso alla pubblicazione di questo documento privato, che tiene traccia degli incontri con il suo psichiatra, il dottor MacKinnon. La rassegna stampa su questa pubblicazione è già tanta, e quasi tutta si contorce sul prevedibile interrogativo se sia giusto divulgare post-mortem uno scritto non destinato alla pubblicazione. Qui il dibattito non ci interessa per niente (magari altrove sì).

Interessa invece una cosa che Joan ha scritto in questo diario, in riferimento a una seduta psichiatrica in cui racconta del cancro della madre. Durante la conversazione, il dottor MacKinnon le dice che un tumore ti cambia radicalmente la vita e che dopo, se sopravvivi, passi la vita a fare i conti con la mortalità, o a non farli, e che comunque, qualunque sia la strategia, la vita non è più la stessa. Joan scrive:

Ho detto che nella mia strategia contro il cancro non c’era spazio per un faccia a faccia con la mortalità. Che avevo seri problemi a pensarmi morta. «È così per tutti. Si fatica a pensare di morire, perché morire è per certi versi un’azione, qualcosa che accade, e tu sei un attore. Ma riuscire davvero a concepire di non esistere è impossibile». Ho detto che pensavo a questo sin da quando ero molto piccola. Non alla «morte», ma a questo fatto di «esistere» o «non esistere».

Joan Didion, Diario per John, traduzione di Sara Reggiani, Il Saggiatore, 2025, pag. 191

Anche a me, fin da bambina, capita di pensare a questo fatto di esistere o non esistere. Mi chiedevo, da piccola: ma i miei pensieri, quando muoio, dove vanno? Immagino che, con pensieri, io intendessi allora la mia essenza, il mio esistere.

Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita

Chissà perché è spesso a tavola che la vita delle persone cambia all’improvviso. Infarti, morti, litigi, telefonate spiacevoli, rivelazioni, confessioni, patti, brindisi raggelanti – tra i molti riferimenti che si moltiplicano nel mio repertorio mentale come le cellule impazzite del mio corpo, spunta anche Festen, quel meraviglioso film di Thomas Vinterberg che forse è ora di rivedere.

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Fonte immagine: Wikipedia

Credo che la mia, di vita che conoscevo, sia finita la sera del 20 febbraio 2023. In effetti sedevo anch’io a tavola, con quello che all’epoca era ancora mio marito, ma l’evento improvviso era già accaduto, poco prima, nello studio medico dove avevo ritirato il referto. Da allora ce ne sono state diverse decine, di referti, fino a quello di quest’anno che ha certificato la recidiva di cancro.

Quella sera a tavola, inoltre, un altro evento fratturante accadeva, tra me e il mio buon marito [sinonimi di frattura: rottura, crepa, spaccatura, squarcio, apertura || (fig.) interruzione, sospensione, battuta d’arresto || (fig. ) tensione, contrasto, divergenza]. Ho scritto anch’io, un anno fa, il mio diario per Simone, privato sul serio, e gliel’ho dato una sera di luglio dell’anno scorso (sempre a tavola) – avevamo già smesso di vivere insieme.

La vita di adesso, la sto conoscendo adesso. Con la vita di prima ha pochissimi legami, da quel che posso vedere io. C’è del buono, a volte (fare una lista di queste volte e leggersela la sera). La rinascita è ancora lontana, e chissà se si farà in tempo.

[Immagine in copertina: Family of three sitting together having dinner, from The Everett Collection, free on Canva Pro]