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Serie 6, post #9. I libri, le parole e la nebbia

Da quando ho cittadinanza nel mondo della malattia, quindi dall’inizio del 2023, ho accumulato un centinaio di libri da leggere, fra quelli che ho acquistato io e i molti che ho ricevuto in regalo soprattutto durante le prime chemioterapie. Ne ho iniziati forse una metà, ne ho finiti credo una quindicina. I libri mi hanno sempre aiutato a sopportare la vita. Adesso quello che mi aiuta meglio a sopportare la vita è dormire. È la nebbia nella testa, ne sono sicura, è la mente che se ne vola nel vuoto, l’incantesimo che non c’è più. Ma non è solo questo, non è soltanto uno degli effetti delle chemioterapie. C’è altro.

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Serie 6, post #8. La stanchezza e lo spurgo

Lo chiamo “lo spurgo” e consiste in una lunga e accuratissima sessione di pianto. Perché funzioni nella sua azione di pulizia d’animo e sblocco di ingorghi mentali, dev’essere un pianto libero e incontrollato, esente da censure, con scrosci abbondanti di lacrime e generosi singhiozzi, e bisogna usare almeno due o tre fazzoletti in cui soffiarsi il naso fragorosamente. Se praticato prima di dormire, lo spurgo assicura quello sfinimento dolcissimo che prende un attimo prima di cadere nel sonno.

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Serie 6, post #7. All’autunno ci arrivo

Ma poi, anche la vecchiaia per me è una fantasia: mi è sempre più difficile immaginare di farne esperienza. Ho anzi preso l’abitudine di dire frasi come: «L’estate prossima, se ci arrivo, voglio prendere l’ombrellone al Lidian per tutta la stagione», o «Al diciottesimo compleanno di mio nipote, se ci arrivo, …», oppure «Mi sto pagando la pensione, se ci arrivo» (ma credo che questa qui la diciamo in molti, con o senza il cancro). «Se ci arrivo», lo dicono i vecchi, i moribondi, gli sfiduciati e gli esausti. All’autunno ci arrivo. Ho boschi da vedere e un bambino da conoscere.

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Serie 6, post #6. Se il meglio è già venuto

Considerare un’ipotesi di futuro vivibile, adesso, in questo momento, è o non è un compito gravoso? Ed eccola qui, la finaccia piagnona, ecco quell’imbarazzante “problema dell’autocommiserazione” che Joan Didion si appuntava pochi giorni dopo la perdita del marito John, e che è anche preludio a quel vittimismo disfunzionale e lamentoso che fa la fortuna di tanta narrazione odierna. È un’insidia costante, una ragionevole tentazione. Ma davvero: come provare anche solo a desiderarlo, il tempo a venire, se ho il sospetto che per me il meglio sia già venuto?

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Serie 6, post #5. Il primo giorno del resto della mia vita

Tra un paio di settimane farò la TAC di controllo e poi a settembre sarà il mio compleanno. Compio 44 anni e, per il momento, non so che farmene della vita davanti, quella che m’avanza. Nel suo libro “L’anno del pensiero magico”, Joan Didion individuava il primo giorno del resto della sua vita nell’atto di pulire il suo studio dopo la morte del marito John. Mi è venuto da pensare al primo giorno del resto della mia vita. Quale potrebbe essere?

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Storie di donne-albero

Kintsugi Project. Storie di donne-albero. Silvia

La diagnosi di cancro al seno ha raggiunto Silvia alla fine di un anno faticoso, il 17 dicembre 2024. Lei era impegnata in altri progetti, per esempio quello di portare a termine gli studi universitari iniziati e lasciati in sospeso tanto tempo fa. Era stremata, Silvia, il giorno in cui le hanno detto che no, quello che già da un po’ di tempo le induriva il seno destro non era una mastite.

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Serie 6, post #4. L’imbarazzo del superstite

Dopo l’incontro a Milano con Petrosjan, che mi ha illustrato il suo piano di difesa, e dopo la mia visita a Simone, che sta al cimitero, ho una specie di preoccupato imbarazzo su questo concetto dell’andare avanti che in molti si prodigano a ripetermi. Me lo sento pesare come un mandato: ho questo incarico di vivere un altro po’, curarmi, fare cose, lavorare, stare nel traffico, badare al gatto.

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Serie 6, post #2. Perdere la testa (o “La vera storia della rana bollita”)

La storiella della rana bollita è quel che rimane di un antico esperimento scientifico controverso, in seguito al quale è fiorita tutta una letteratura della “resilienza”, parola che negli ultimi anni ha goduto di una simpatia diffusa. È ora di cambiare narrazione. Lo faccio adesso, a centododici giorni dall’inizio delle nuove chemioterapie e diciassette dalla morte di Simone.