
Martedì 17 giugno 2025. Ciclo 5B (carboplatino, gemcitabina).
La chemio di ieri, l’ho fatta oggi. Ieri c’era il funerale di Simone.
Simone mio caro è morto venerdì 13 giugno a Jesi, di tardo pomeriggio. Mara ha provato a chiamarmi la sera, aveva paura che lo scoprissi su Facebook perché erano già apparsi i primi post di condoglianze alla famiglia, di riposa in pace, buon viaggio, ciao e arrivederci. Io dormivo. L’ho saputo sabato mattina. Da sabato mattina benedico più del solito il Valium, lo Xanax e tutte le benzodiazepine: io, drogatissima regina degli ansiolitici, governo dosaggi e tempi di rilascio dei principi attivi sul mio corpo, umano.
Sto mansueta, addormentata dentro il mio personale sbilico.
I farmaci chemioterapici, quello immunoterapico, gli antiemetici contro la nausea e il vomito, le bombe di cortisone, e gli psicofarmaci: quest’estate sudo composti chimici, colo veleni dai pori, dalle cicatrici, dagli occhi. Porto in borsa un asciugamano per tamponare l’iperidrosi cranio-facciale, mentre del pianto non mi importa: a volte lacrimo anche senza mimica né suono, come per un’allergia o una congiuntivite. Se poi arriva il pianto quello onnipotente e sguaiato, mi chiudo da qualche parte.
Simone non esiste più.
Sull’esistere. Mi è tornato in mente il post di un mese fa in cui avevo scritto di Joan Didion quando dice: «… pensavo a questo sin da quando ero molto piccola. Non alla ‘morte’, ma a questo fatto di ‘esistere’ o ‘non esistere’».
Queste sono le circostanze in cui, a volte, vorrei essere credente per cinque minuti. Potrei localizzarlo, Simone, da qualche parte; immaginarlo esistere dove ha detto il prete durante la messa. Simone era ateo, ma ha avuto un rito funebre religioso e sono abbastanza convinta che, se avesse potuto scegliere, avrebbe detto va bene, sì, facciamo questa cosa in chiesa per mia madre, mia sorella, le nipoti, loro ci tengono. Glielo avevo detto di recente, quando io ho consegnato le mie DAT e scritto anche il testamento olografo, di lasciare scritto pure lui qualcosa sulle sue volontà in materia di rito funebre, cremazione, sepoltura, queste pratiche che affaticano i vivi. Lui cardiopatico a rischio da quand’era ragazzo, io malata oncologica da due anni: pensiamoci, dico. Invece no, quest’anno lui ha preferito pensare prima alle carte della separazione.
Adesso io sono mezza separata, mezza vedova, mezza viva. Simone è tutto morto. Non ha fatto in tempo, povero mio tesoro, a completare con l’atto del divorzio tutta la trafila burocratica che ci avrebbe legalmente snodati, sciolti, disuniti.
Navigare a vista. Lo dice il Gran Maestro
Venerdì 13 giugno, mentre Simone mio caro spirava tra l’ambulanza e l’ospedale, io ero a colloquio con il mio Gran Maestro russo, il senologo milanese che da due anni gioca a scacchi con la Morte intabarrata che mi balla intorno (e prende gli altri).
«Annalisa, qui adesso navighiamo a vista»
Così mi ha detto, il mio Gran Maestro russo. Navighiamo a vista. Mi colpisce che una persona come lui usi questa espressione. Mi colpisce e anche mi scontenta, sia perché è un modo di dire ordinario, una frase scialba buttata senza grazia, sia per il significato che di solito ha nelle conversazioni comuni: gestire le cose improvvisando, senza un piano preciso, senza una strategia. Se anche il mio Gran Maestro ha iniziato a navigare a vista in questa mia faccenda della malattia, come pure la mia oncologa che mi dice «Continuiamo con le chemio e vediamo», allora qui è tutto un mattatoio.
Comunque, ossessionata dalle parole come sono da che le conosco, tornata a casa ho fatto le mie ricerchine superflue. Era venerdì sera, Simone non esisteva già più e io non lo sapevo ancora.
Sull’espressione navigare a vista ho letto cose che so già e che sappiamo un po’ tutti, ma io ho bisogno sempre di rileggere, ripetere, rifare: nella lingua tecnico-specialistica della marina e dell’aeronautica militare, dice, si naviga a vista quando si possono usare punti di riferimento ben visibili. Nel linguaggio politico, la navigazione a vista è la condizione di chi deve risolvere situazioni incerte mai accadute prima, in base allo sviluppo delle vicende. Che altro?
Qui adesso navighiamo a pelle
Nel linguaggio della medicina non trovo usi di “navigare a vista”.
Il mio Gran Maestro russo, per la prima volta da quando lo conosco, è al comando senza bussola, in condizioni avverse di nebbia: aguzza la vista sulla mia pelle e aspetta i segni. Studia il mio seno, dove il Granchio è ricomparso; studia la cute sul petto, dove quest’anno si è manifestato, comparendo in superficie con un dipinto di puntini rossi-rossastri, una tela di Seurat da esaminare al microscopio.
Non ci sono ancora opzioni chirurgiche, dice il Gran Maestro, non ci sono opzioni terapeutiche diverse da quella già in corso, se non forse qualche nuova cura sperimentale, più nuova di quella che avevo rifiutato un anno e mezzo fa. Questo perché, cerca di spiegarmi con pazienza, la recidiva del mio carcinoma mammario triplo negativo, adesso, è di tipo linfangitico: striscia attraverso i vasi linfatici, e quindi dove tagliamo la carne? Non sappiamo.
Ma io non ho più pazienza, voglio una carta nautica che mi dica: per di qui si va verso qualche anno di cure continue nelle quali continuare a confidare e poi vediamo, per di qua si va verso un niente rapido e non parliamone più (il Granchio però ti artiglierà dappertutto, avrai dolore).
Questo fatto di esistere o non esistere, che seccatura.
Le cose come stanno
Siccome, oltre all’ossessione per le parole, ho pure questa mia mania per le date, per i numeri, gli elenchi – sarà forse il sintomo di qualche tratto aspergico mai diagnosticato, – oggi mentre facevo la terapia ho scritto un post Facebook facile facile in cui ho messo in fila gli eventi. L’ho fatto un po’ per me, per calmare la mente e assolvermi, e un po’ per chi conosceva Simone, soprattutto per quelli poco interessati alla lettura di storie e più inclini al cicaleccio delle piazze social.
Ho messo in fila gli eventi, dicevo, le date, i fatti, le cose come stanno, in un post pubblico. Nessuna fiction, nessun filtro narrativo come provo invece a fare qui in questo blog. Molte persone, dopo, mi hanno scritto in privato (ho disattivato la possibilità di commentare il post, per risparmiarmi i cuori e i fiori, i riposa in pace, buon viaggio, ciao e arrivederci). Alcune persone che non conosco mi hanno mandato una richiesta di amicizia, spiegandomi che quello che avevano letto le aveva emozionate. Eppure si tratta di un elenco di date ed eventi che appartengono a una storia personale, una lista di appunti non lavorati per diventare qualcos’altro.
Credo che questo slancio di commozione abbia a che fare soprattutto, e in maniera nemmeno ben celata, con l’idea della morte, con quanto orrore fa a chi non ha motivo di pensarci.
E invece voi
E invece voi, miei piccoli zombie fermi ai semafori con la faccia sfigurata dalla fatica assurda della quotidianità; povere creature brutalizzate dagli orari, dalle tabelle, dai programmi, dai mutui e dalle beghe di condominio; voi che correte a casa, la sera dopo il lavoro, per mettere su una cena e poi continuare a fare bava sul divano o per buttarvi a letto senza un pensiero, dico uno, che riguardi il vostro essere fortuitamente ancora vivi e sani: ci pensate mai, voi normotipici, voi che siete “tra gli uomini che non si voltano”, ci pensate mai che – in questo aberrante processo di sottrazione continua che è il tempo di cui disponiamo, – ogni anno che passa non è un anno in più che abbiamo, ma un anno in meno che ci resta?
Una nota.
«Scrivi, - mi ha ripetuto Simone poco tempo fa, - scrivi sempre, tu puoi e devi scrivere di tutto quello che vuoi; di quello che dice la gente che ci conosce te ne devi fregare. Non smettere di scrivere, scrivi». E io scrivo.
Ho scritto anche cose diverse da questo blog: vecchie cose di carta che ancora faticano a trovare un editore. Simone è stato il primo a leggerle, qualche anno fa, e a crederci. Mi aiutò anche a pagare il servizio di lettura e valutazione di una grossa agenzia letteraria. Ho mollato presto. Adesso che Simone non esiste più, forse l'unico modo per farmi passare la voglia di interrompere le cure che mi tengono ancora tra i vivi è riprendere quella mia rotta, l'unica che mi è vitale, navigando a vista.
[Immagine in copertina: pin.it/4VX5p28p9]
La tua scrittura è come te. Grazie di cuore per continuare a scrivere.
Grazie a te, Edvige, per continuare a leggermi.
Adesso tu mi vorresti far credere che “E invece voi” è farina del tuo sacco… Poliedrica creatura, ho trasformato il tuo sfogo in poesia. (i versi si sono spezzati copiandoli, non ci sono così tanti versi frammentati. Ma non importa adesso).
E invece voi
E invece voi, miei piccoli zombie
fermi ai semafori
con la faccia sfigurata dalla fatica assurda della quotidianità;
povere creature,
brutalizzate dagli orari,
dalle tabelle,
dai programmi,
dai mutui e
dalle beghe di condominio;
voi che correte a casa,
la sera,
dopo il lavoro,
per mettere su una cena e poi continuare a fare bava sul divano
o per buttarvi a letto senza un pensiero,
dico uno,
che riguardi il vostro essere fortuitamente ancora vivi e sani:
ci pensate mai, voi normotipici,
voi che siete “tra gli uomini che non si voltano”,
ci pensate mai, che
in questo aberrante processo di sottrazione continua,
che è il tempo di cui disponiamo,
ogni anno che passa non è un anno in più che abbiamo,
ma un anno in meno che ci resta?
………….
Che sai scrivere si sa, che sei poeta chi lo poteva immaginà? Se mi permetti vorrei farci un Reel. Autopubblicazione entra in questo corpo!!!
Autopubblicazione entrata (in automatico, perché avevi già commentato in passato). Fanne quello che vuoi. Grazie. Un abbraccio.