Lunedì 25 agosto 2025. Ciclo 8B: gemcitabina 1700 mg, carboplatino 200 mg (1, 8-21). A corredo: antistaminici, antiemetici, gastroprotettori e corticosteroidi (Trimeton, Akinzeo, Pantorc, Soldesam). Durata complessiva dell’infusione: 3 ore.
È l’ultima infusione di chemio.
Anche due anni fa avevo fatto l’ultima, per cui con le celebrazioni e i rituali ho cambiato atteggiamento: eventualmente saranno gli altri – familiari, amici, – a festeggiare la fine della mia chemio di oggi. Io mi faccio una dormita e aspetto il seguito della storia. Mia madre, che di questa storia è il vero personaggio irriducibile, anche per quest’ultima chemio ha portato una torta alle infermiere gentili. Per ringraziare, dice.
Comunque, qui a Oncologia continuerò a entrare ogni tre settimane per l’immunoterapia, prevista per un paio d’anni ancora. Eventuali altre terapie, nuove chemio per esempio, non sono escluse. Questo perché la guarigione effettiva e completa, per il momento, non è accertabile.
Tra gli ospedali di San Benedetto del Tronto, Milano e Ancona, negli ultimi mesi gli oncologi si sono sperticati tutti a spiegarmelo, ma io niente, non mi dò pace: con la TAC, dico, controlliamo lo stato degli organi interni, bene, mentre ripetendo la biopsia cutanea con il mio venerato Gran Maestro possiamo continuare a ispezionare la pelle, la questione della comparsa linfangitica, no? No, non possiamo, Annalisa. Perché, perché no? Perché dovremmo bucherellarti da cima a fondo, oppure scuoiarti viva, per essere certi di prelevare adesso un campione di pelle attendibile. E allora, insisto io, adolescente capricciosa, come possiamo verificare se Il Granchio è ancora nascosto nei vasi linfatici? Non possiamo, Annalisa.
«Cronicizzare il tumore». Le cose come stanno
«Stiamo facendo questo? – chiedo oggi alla mia oncologa, – Stiamo provando a cronicizzare il tumore?». Ho letto cose, naturalmente. Credo di essere tra i pazienti più difficili per lei, e i pazienti più difficili non sono i terminali, ma quelli che stanno ancora abbastanza bene da fare troppe domande, quelli che selezionano e leggono fonti valide, quelli che vogliono sapere le cose come stanno.
«Cronicizzare, – mi dice, – è una parola che si è usata molto negli ultimi anni, sì, ed era impensabile fino a non molto tempo fa. Diciamo che, in specifiche situazioni come la sua, in assenza di operabilità e di nuovi farmaci, tutto quello che possiamo fare – e che stiamo facendo, – è seguire le terapie disponibili, considerarne altre in corso d’opera, fare regolarmente controlli. Se non possiamo debellare la malattia con certezza, possiamo però controllarne l’evoluzione nel tempo. Potranno esserci progressi e ricadute, e di volta in volta valuteremo il da farsi».
In sostanza, penso: se uno soffre, poniamo, di mal di schiena, sa che ogni tanto cade facile preda del dolore, fa qualche cura e convive con questo disagio, più o meno accettabilmente, per il resto della sua vita. A me ogni tanto può facilmente tornare un cancro. La scienza, a oggi, si ferma qui.
L’incontenibile fede del Granchio.
L’immunoterapia con il Pembrolizumab, nel frattempo, si dà molto da fare per istruire il mio corpo, insegnargli a difendersi, a riconoscere Il Granchio – straordinario genio sofisticato, – quando prova a camuffarsi fra le cellule sane, a passare inosservato agganciandosi a chiunque possa portarlo nei vasi sanguigni, viadotti bramatissimi, per raggiungere altri organi da colonizzare. È questa, la missione del Granchio: la metastasi. Caos, terrore, distruzione. Integralista, fondamentalista, estremo, Il Granchio è disposto a morire sotto i colpi di farmaci citotossici, radiazioni, lame, pur di avanzare tenendo strette fra le sue tenaglie lo stendardo della sua fede.
Lo aveva detto bene il vecchio Tommaseo, ripescato da Vittorio Lingiardi nel suo saggio Diagnosi e destino: “... questo animale è tenace della preda, ed una volta afferrata colle sue branchie mai più l’abbandona“. Mai più l’abbandona. Mai più l’abbandona.
«Un passo alla volta, Annalisa».
È quello che lei, la mia oncologa, mi ripete ormai da un po’ di tempo, alla fine di ogni nostra conversazione, di solito quando non sa più cosa dire e vuole concludere. A me suona un altro modo per esprimere il concetto che «Navighiamo a vista», come pronunciato dal Gran Maestro lo scorso 13 giugno.
Non possiamo, mi dicono i medici. Non possiamo sapere più di quello che già sappiamo, non possiamo fare più di quello che stiamo già facendo.
La stessa cosa avviene nel mio lavoro del lutto: non posso sapere più di quello che già so (so che Simone è morto e che questo è definitivo); non posso fare più di quello che sto già facendo (non impazzire, non farmi scervellare dal dolore, ricordare, condividere e commemorare). Passi miei piccolissimi, incerti, spesso goffi, patetici, eppure enormi, necessari, importanti.
“Se il meglio è già venuto”?
La settimana prossima compio 44 anni e mi pare di aver avuto tanto per molti, moltissimi anni: la santa salute sospirata dai vecchi, un corpo giovane e attraente, la possibilità di formarmi e studiare le cose che volevo studiare, un lavoro che mi somigliava, la mia famiglia tutta intera, buoni amici, i gatti, le cene allegre, la casa di via Colombo, gli interessi e la curiosità che nutrono. La quiete. La quiete, e Simone. Simone Volpini.
Considerare un’ipotesi di futuro vivibile, adesso, in questo momento, è o non è un compito gravoso? Ed eccola qui, la finaccia piagnona, ecco quell’imbarazzante “problema dell’autocommiserazione” che Joan Didion si appuntava pochi giorni dopo la perdita del marito John, e che è anche preludio a quel vittimismo disfunzionale e lamentoso che fa la fortuna di tanta narrazione odierna. È un’insidia costante, una ragionevole tentazione.
Ma davvero: come azzardarsi anche solo a desiderarlo, il tempo a venire, se ho lo spaventoso sospetto che per me il meglio sia già venuto?
E se mi trovi stanco
Vinicio Capossela, Ovunque proteggi
E se mi trovi spento
Se il meglio è già venuto
E non ho saputo
Tenerlo dentro me
Ascolta la canzone che mi risuona in testa
[© Immagine in copertina: illustrazione generata con AI di Canva Pro]
Ti leggo voracemente, come sempre, ma anche con molta attenzione ad ogni parola perché il tuo scrivere è costantemente espressione unica del tuo essere. Colpisce l’immagine, mare calmo e vela pacata verso cielo terso e rassicurante . Il futuro non deve essere meglio ma, credo, sia bello pensarlo così
Non sappiamo se il meglio è già venuto, non sapevamo niente degli ultimi 3 anni e neanche lo immaginavamo.
So per certo la scrittrice che sei, il tuo valore. Alla fine quello che possiamo fare tutti è fare piccoli passi di valore ogni giorno. Avanti Annalisa, scrivi scrivi scrivi.
E’ arrivato il momento della creatività, è il momento di provare a vedere il futuro di questo blog. Per me, se inizi a mettere insieme tutti i post, è un ottimo libro. Continua a scrivere, qualcosa – leggendo tra le righe di questo capitolo – risuona di rinascita.
Il meglio … il peggio… e che ne sappiamo noi! Noi viviamo … e alla fine, in qualche modo, faremo dei bilanci..vale anche per te mia cara. Non è ancora tempo di bilanci. È tempo di continuare a guardarsi intorno, tempo di scrivere, tempo di veder crescere chi si affaccia ora alla vita…. Il resto verrà ma non è ora!
Durante questa estate, lunga e quasi serena, mi sono trovata spesso a pensare guardando vecchie foto: – Forse ero felice e non sapevo di esserlo – oppure: – Era quella la felicità? -.
Le foto erano quelle del 2018 in occasione del compleanno dei miei 40 anni, quando ero ancora sposata ed avevo ancora un papà. Scorro foto felici della mia famiglia d’origine, mi avevano fatto una sorpresa ed erano arrivati la sera prima tutti insieme e mio fratello piccolo mi aveva presentato l’attuale compagna.
È cambiato quasi tutto da allora: mi sono separarata e poi ho divorziato, non ho più un papà, non lavoro più per la stessa multinazionale, non abito più in quella casa col giardino che tanto amavo.
Il meglio è già venuto?
Non ho più un marito, non sono più sposata, forse non mi sposerò mai più. Non ho più un padre (tanto amato).
La casa è stata sostituita da un piccolo appartamento di 70 mq, tutto mio però – o meglio della banca 😛
I figli stanno per compiere 18 e 16 anni, siamo sopravvissuti alle varie separazioni. Pochi giorni fa è mancato anche il mio ex-suocero (tanto amato).
Io voglio sperare che ci sarà ‘un altro meglio’ e che magari sapremo tenerlo forse, un po’ meno dentro di noi. Forse il passato è ancora troppo presente dentro me.
Un abbraccio grande, Annalisa
Grazie a tutte e tutti per aver commentato questo post – e scusate il mio generoso ritardo!
Difficile per me, adesso, rispondere in modo sensato a ognuno di voi.
Vi abbraccio con un sorriso.
A.