diario-clinico

Simone non esiste più e a me invece tocca campare e fare le chemioterapie. Però un pensiero mi aiuta: ho scelta. Considero come finisce quella poesia di Saba, Sera di febbraio, e il petto mi si calma.

Sabato 14 giugno, verso le sette del mattino, mio padre e mia madre mi sono entrati in casa in silenzio, con la loro copia delle chiavi. Io stavo facendo colazione. «Che cazzo! – ho chiarito subito, – Siamo arrivati a questo punto?». Da quando vivo sola e ho di nuovo il cancro, mio padre e mia madre hanno paura di ritrovarmi morta. Però non era ancora mai successo di vedermeli comparire in soggiorno così, senz’avviso, senza citofonare, senza bussare, di primo mattino. Che cazzo, ho ripetuto, questo no.

Ci hanno girato attorno. Simone ieri si è sentito male, hanno detto. Lo sai, hanno detto, il suo cuore. Lo abbiamo saputo adesso da Mara, hanno detto, ha provato a telefonarti ieri sera tardi. Io avevo, in effetti, una chiamata persa di Mara: venerdì 13 giugno, 23:56, ha squillato 31 secondi. Poi mamma e papà hanno detto: sta grave. Mamma e papà hanno sempre avuto problemi a dirmi le cose come stanno.

Quindi non l’ho saputo da loro, che Simone era morto. Me lo ha detto Mara al telefono, quando l’ho richiamata: il registro del mio telefonino dice che l’ho fatto sabato 14 giugno alle 7:31 e che la chiamata è durata 56 secondi. Poi dice anche che l’ho richiamata alle 7:34, durata della chiamata 3 minuti e 11 secondi. Di quello che è successo durante queste due telefonate non ricordo nulla all’infuori della mia voce che boccheggia: «Che cazzo significa che è grave?» e della sua – ferma, inflessibile, ingegneristica come diventa la voce di Mara quando una cosa è grave, – che mi dice: «È morto».

Poi niente, mi s’è fatto scuro. Mio padre che chiama il mio psichiatra che non si trova e allora chiama il figlio psicologo che richiama il padre che richiama il mio. Perché qui serve il Valium, l’ho finito e non ho la ricetta nuova. Oppure serve lo Xanax, quello in casa c’è, ma quanto ne serve adesso? O serve un ricovero?

Nel suo diario della chemioterapia, Severino Cesari lo chiama “il corteo degli amici”. Da me sono arrivati: Mara, Enrica, mio fratello e mia cognata da Pescara, mio zio, e non so chi altri perché le benzodiazepine a rilascio immediato – benedette sempre, – hanno funzionato. Quando mi sono svegliata, c’erano i miei che pranzavano nel soggiorno, in silenzio. Siamo partiti per Jesi. No, per Monsano: Casa Funeraria delle Onoranze Funebri Santarelli.

Diario clinico 15-22 giugno 2025

Qui inizia il diario clinico della mia prima settimana con Simone che non esiste più. Fatto, questo, che scompagina le cose tutte quante: il cancro che mi abita, la chemio che mi sfianca, e la spaventosa possibilità di restare viva.

Domenica 15 giugno. Il compleanno di Simone

Simone oggi compie 52 anni dentro una bara. Ce n’è voluta una di quelle che chiamano oversize. È alto, Simone. Negli ultimi tempi in cui ci abbracciavamo stanchi, sentivo la mia scomodità di raggiungerlo alla sua altezza. Le nostre anatomie divenute discordi, mal assortite.

Mi avvicino piano alla bara dove ritrovo Simone, lo scopro poco per volta nella postura della sua morte apparecchiata per noi vivi. Lo hanno vestito con un completo scuro, molto elegante, di velluto mi sembra, ma non sono sicura di vedere le cose come sono veramente.

La barba tutta finita di imbiancare nel corso di quest’anno, come pure i capelli, lasciati allungare e pettinati all’indietro. E tuttavia in questa vecchiaia mi spicca quel viso di ragazzo delicato, tutta una pelle lattescente spruzzata di rosacea, le dita delle mani lunghe lunghe di adolescente goffo, quell’espressione sua a metà fra la burla e il candore. Dev’essere questo contrasto visivo, non lo so, a procurarmi una vertigine. Mi afferra mio fratello.

Mi faccio di Valium, non tolgo mai gli occhiali scuri, parlo poco con poche persone. Non capisco bene quello che dicono.

Lunedì 16 giugno. Il funerale per Simone

Rivedo Lina dopo più di due anni. Lina è mia suocera. Ma è ora che m’abituo a dire le cose come stanno: Lina è la mia ex suocera, perché Simone dal 3 marzo di quest’anno è, – era, – il mio ex marito.

Conosco Federica. Ci abbracciamo tanto. Registro che quello che provo adesso, parlando con lei e guardandola negli occhi, è quasi un attimo di sollievo misto a gratitudine. Mi conforta che Simone l’abbia avuta accanto nell’ultimo anno della sua vita, provo a intuire cosa amasse di lei. Mi dispiace, Federica, mi dispiace che tu abbia perso il tuo amore nel culmine del fulgore, quello dell’inizio, che rimarrà un inizio. Io ho avuto il tempo di prepararmi alla fine, di patire l’assenza, di abituarmi al crepaccio del vuoto, perché non vivevamo più insieme da un anno e ci siamo detti quello che avevamo da dirci, al meglio che abbiamo potuto.

La sorella, le nipoti, il cognato, che è ancora il mio commercialista. Gli amici, il corteo degli amici jesini. Vedo anche alcuni amici del tango – molti di meno, lo noto subito, di quelli che dovrebbero esserci, perché alla fine ecco, dopo aver militato per una dozzina di anni, secondo me le cose stanno così: nel tango, tutti amici finché si balla, come fra i tossici finché ci si buca insieme.

Martedì 17 giugno. Chemio, ciclo 5B

Dimentico di mettere la pomata anestetica Emla 25 mg. Come mi ha insegnato Mara, veterana di chemioterapie, la spalmo sempre abbondante sul port prima di uscire di casa per andare in ospedale a fare i trattamenti. Invece no, stamattina la dimentico, e a me il port non piace, m’annerisce l’umore dal giorno in cui me lo hanno impiantato nel petto.

Mi fa male, quando l’ago di Huber perfora il serbatoio sottocutaneo in silicone, chiamato anche camera di iniezione, diametro di 2 centimetri circa. Mi fa male, mi fa male tutto quanto. Le infermiere gentili del reparto di oncologia che frequento da due anni mi fanno le condoglianze. Anthea, nel frattempo, sta eseguendo le abituali procedure di controllo del port e aggiunge che non mi esce il sangue, come mai non mi esce il sangue?

Gemcitabina 1700 mg, carboplatino 200 mg (1, 8-21). Oggi non ho l’immunoterapia con il Pembrolizumab, faccio solo il richiamino. Per tutto il tempo dell’infusione, circa tre ore, penso a Simone che non esiste più e gli dico: io meschina e malata vivo, tu che sei buono e gentile muori.

La mia oncologa stamattina non c’è, la sostituisce una collega. Mi raddoppia le dosi di cortisone Varcodes per i prossimi quattro giorni, «per stare più su» mi dice, perché io le ho appena biascicato che domani voglio tornare a lavoro, che il lavoro mi contiene, fatemi lavorare. Poi però mi viene il dubbio sulle benzodiazepine che da sabato m’annebbiano. No, mi rassicura, non dovrebbero esserci interazioni del Varcodes con Valium e Xanax, e nemmeno con l’antidepressivo e con lo stabilizzatore che, da non so più quanti anni, mi aiutano tutti i giorni a stare dentro il mio personale sbilico. Lo sbilico, è una parola di Alcide Pierantozzi. Che conforto, aver letto proprio pochi giorni fa il suo nuovo libro, così esatto.

Mercoledì 18 giugno. Torno a lavoro

Varcodes 4 mg per stare su, Valium 5 ml 10 gocce per stare in pari. Xanax 0,5 mg al bisogno, ma meglio stasera. Non dimenticare i soliti Anafranil 75 mg (1 compressa e mezza) e Lamictal 50 mg (2 compresse).

Oggi torno a lavoro e inizia la diarrea. Sono i farmaci. Mi accorgo, anche, di scolare pianto dagli occhi.

Vado in ufficio a fare la Course Coordinator. Programmo le attività didattiche della scuola, pianifico la vita degli altri, scrivo agli studenti di finire i Digital Books perché è quasi ora della loro Revision. Lavoro bene, concentrata, e ogni volta che alzo la testa dal computer vedo la faccia di Simone morto. Gli ripeto: io meschina e malata vivo, tu che sei buono e gentile muori.

Ho il cellulare intasato di messaggi. Amici di qui, amici di Jesi, amici di Roma, gente del tango, lettori del blog, parenti, conoscenti, vecchi compagni di scuola, ex vicini di casa di quando abitavamo in via Colombo 85. Io vado solo alla chat di WhatsApp con Simone e continuo a vedere l’orario del suo ultimo collegamento: venerdì 13 giugno, 16:47.

Giovedì 19 giugno. Occorre occuparsi del tagliaerba

Varcodes 2 mg, Valium 5 ml 10 gocce, Xanax 0,5 mg al bisogno, e i miei soliti Anafranil e Lamictal. Faccio la mia seduta online di psicoterapia con Carola. Piango molto, e questo è buono.

La diarrea mi sbudella. Ciò non mi scomoda e anzi mi lascia indifferente: noto che la mia valutazione dell’entità di un problema, di un disagio, di un malessere, è cambiata già da tanto tempo. Non ho mai preso la loperamide prescritta dal protocollo medico per il trattamento degli effetti collaterali della chemio; mi limito a una bustina di VSL#3 tutta grumi giallognoli.

Oggi mi occupo dell’altro mio lavoro, quello di copywriter freelance. E quindi: confidare negli scatti di vivacità assicurati dal cortisone al sistema nervoso centrale; attivare il pulsante della creatività in modalità risparmio energetico. Devo scrivere di un tagliaerba semovente, con motore a scoppio Stiga da 166 cc, larghezza di taglio 51 cm, sacco di raccolta da 60 lt., scarico posteriore, laterale e mulching, 6 altezze di taglio da 22 a 80 mm. Questo mese, in offerta a 399 euro. Benedico che non sia più il tempo in cui scrivevo di lubrificanti industriali, che mi fanno paura, né di decorazione d’interni, perché lì ci vuole l’arte e avrei avuto tanto da studiare adesso che non ho testa.

La sera, il cortisone e le benzodiazepine mi si contendono il sonno. Verso le due del mattino penso di buttarmi dal balcone di questo attico dove ho traslocato otto mesi fa. È qui che ho avuto il presagio. Non lo faccio, non mi butto neanche stavolta. Ho scelta, tutto qui, e considero come finisce la poesia di Saba.

Venerdì 20 giugno. Ho bisogno di pulire cessi

Varcodes 2 mg, Valium 5 ml 10 gocce, Xanax 0,5 mg al bisogno, e i miei soliti Anafranil e Lamictal. Vado in reparto a fare la mia seduta gratuita con Alessandro, lo psicologo oncologico. È uno dei servizi offerti a tutti noi pazienti in chemioterapia grazie allo IOM di Ascoli Piceno e all’associazione Bianco Airone di San Benedetto del Tronto. Piango molto, e questo è buono, però devo prendermi altre 10 gocce di Valium.

Vado a lavoro direttamente dall’ospedale, arrivo due ore prima del mio turno; è ora di pranzo e non c’è ancora nessuno. Decido che qui c’è bisogno di una pulita. Non sono tenuta a pulire il posto in cui lavoro, però sono libera di prendermene cura se voglio. Ai cessi, soprattutto ai cessi, mi ci dedico con furia, finché non ho i capelli inzuppati di sudore. Alle tre mi asciugo, mi metto l’eye-liner liquido They’re Real! di Benefit, il primer ciglia Volume Booster e il mascara Princess curl & volume di Essence. Mi siedo alla mia scrivania e faccio il mio lavoro.

Mia cugina Gloria mi scrive e mi manda un link. Il titolo raccapricciante del comunicato stampa è “Il giorno del Solstizio si festeggia in musica alla Riserva Naturale Sentina”. Domattina, dice, il sole sorge alle 5:25. Per il 21 giugno 2025 l’appuntamento è con l’Enrico Fidani duo, sassofono e chitarra. Jazz, smooth jazz e latin jazz, partecipazione gratuita e aperta a tutti.

Gloria mi scrive: ci proviamo? Non lo so, perché ho preso altre 10 gocce di Valium.

Sabato 21 giugno. «Devo cacare»

Ho impostato la sveglia alle 4:30, ma non serve perché apro gli occhi alle 4:24. Scrivo a Gloria che sì, ci proviamo. Lei non mi risponde, si sarà riaddormentata dopo aver spento la sveglia oppure non l’ha messa. Ci proverò da sola: sono in piedi e ho deciso che vado a fare questa cosa.

Mi metto in macchina e mentre guido penso a quando un tempo, di sabato a quest’ora, io e Simone stavamo andando a dormire dopo una nottata di tango fuori. Gli dico: io meschina e malata vivo, e vado pure ai concerti in spiaggia all’alba, tu che sei buono e gentile muori e non ti godi più le tue cose belle – il tango, la fotografia, gli scacchi, i manga. Coglione, stupido coglione.

Vengo raggiunta da una fitta violenta alla pancia che mi piega: è ora di una nuova scarica di diarrea. Gloria abita a tre chilometri da casa mia, potrei farcela, ma a questo punto – a questo punto della mia prima settimana con Simone che non esiste più e a questo punto della mia vita per come me la ricordo, – a questo punto io non escludo di accostare, fermarmi a scaricare per fratte, in qualche fosso lungo la strada. Da noi il fosso si chiama “lu iemmt”, ci cacano gli animali e ci finiscono di notte gli automobilisti ubriachi.

Invece arrivo, butto la macchina davanti al cancello della casa di Gloria, prendo a pugni il suo citofono. Lei s’affaccia nera, sfatta di sonno. Dalla strada le urlo: «Devo cacare».

Dopo, al concerto in spiaggia, sono poco attenta. Osservo il mare e penso a fare foto dritte come mi ha insegnato Simone, alla sua mezza ossessione per il bianco e nero, ai suoi bei lavori stampati e alle mostre organizzate quando era più giovane, e poi penso al suo periodo nell’organizzazione dell’Effeunofest.

Dormo tutto il pomeriggio, ed è il primo sonno naturale, senza farmaci.

La sera vado a cena con Simona da Casalia, che ci piace tanto. Beviamo vino, parliamo, fumiamo, ridiamo. Quando rido mi sento in colpa.
Mangio baccalà in pastella e gamberoni croccanti con insalata di finocchi e arance e salsa tartare. Poiché della diarrea mi disinteresso, voglio anche il dolce: prendo la pavlova, una cosa di meringa con composta di fragole, lemon curd e tanta panna alla vaniglia. Mi calo pure un bicchierino di ratafià.
A casa mi montano subito i pensieri cattivi, perciò mi affido allo Xanax, che insieme all’alcol non mi delude mai.

Domenica 22 giugno. Io vado al mare

Vado al mare e prendo un caffè con mio cugino Denis, che vuole vedermi. Lui Denis lo sa com’è fatto il lutto, e mi dice che questa cosa non si supera. Che l’espressione “andare avanti” non significa niente, se non hai idea di come andarci, avanti. A me piace, quando mi dicono le cose come stanno.

Faccio una videochiamata con mio nipote Gioele, che ha tre anni e mezzo. Gioele mi informa che oggi è molto preoccupato per il suo Batman, che ha «il mal di stocamo».

Nel pomeriggio vengono a trovarmi Enrica, Marco e Nicolò. Oggi è il compleanno di Fabio, il nostro migliore amico, e abbiamo una videochiamata da fare tutti insieme, noi di famiglia. Fabio è diventato orfano di Concetta e padre di Anna nel giro di pochi mesi: la seconda è nata il 30 gennaio di quest’anno, giorno in cui scoprivo che mi era tornato il cancro; la prima è morta il 1° luglio dell’anno scorso, per un tumore al cervello. Nella nostra famiglia allargata, da un po’ di tempo, facciamo fatica a distinguere gli eventi, per cosa ridere, per cosa piangere.

Voglio tornare in spiaggia verso il tramonto. Vado in auto, non ho gambe per la bicicletta. Mentre procedo lungo il chilometro che mi separa dal mare, una macchina mi viene addosso e mi manda fuori strada. Non mi faccio niente, niente, niente nemmeno in questo caso. Esco dall’abitacolo e non riesco a smettere di ridere.

È una donna bionda quella che abbandona la sua auto e galoppa verso di me, sbraccia, si scusa, dice «È colpa mia è colpa mia è colpa mia». Sia noi che le nostre rispettive auto siamo illese, la mia ha giusto un graffio non so dire dove, e io rido. La donna bionda mi offre tutti i suoi dati «per fare questa cosa del CID e risolvere subito il problema», io le spiego che questo che è appena successo tra noi non è un problema e che sto andando al mare. Lei non capisce, è possibile che pensi che io sia fuori di testa, perciò voglio subito rassicurarla e glielo confermo.

Così, sul ciglio della strada, in pochi secondi nei quali enuncio i fatti senza mai riprendere fiato, mi ritrovo a procurare succinte informazioni su ciò che io considero «problema» a una sconosciuta che avrebbe potuto ammazzarmi (e invece niente, niente, niente nemmeno oggi). Ed è con compiutezza che la informo che Simone non esiste più da una settimana, che ho il cancro e non è la prima volta, che faccio di nuovo le chemioterapie ma stavolta vediamo, che da due anni e mezzo io vortico dentro il mulinello di una maledizione e che dunque, perdio: io adesso vado al mare.

Sono le sette e mezza quando arrivo in spiaggia, il sole è ancora alto. Cerco su Google “sale nero delle streghe” e penso che non ho una vasca.

La sera, a casa: Valium 0,5 ml 20 gocce, poi Xanax 0,5 mg. Faccio in tempo a protocollare la presenza di mia madre che mi tiene la mano e mi racconta di quando una volta, da ragazza, aveva un gattino che si chiamava Corallino, e poi un bel giorno…

Nota
Questo testo è un "Diario clinico". Lo stile di scrittura, quindi, voleva essere una specie di operazione letteraria responsabile, con una lingua essenziale, vocaboli medici e una sintassi scarnificata all'osso. Invece no, è venuta fuori un'altra cosa: questa è una cronaca del presente, scritta com'è possibile scrivere quando i farmaci spappolano il cervello. Ma che importa.

Credits immagini: tranne quella in copertina, provengono tutte da raccolte su Pinterest. Ecco il link a ognuna, nell'ordine di utilizzo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8]

Necrologio di Simone Volpini

Rassegna stampa: Il Resto del CarlinoCorriere AdriaticoCentroPagina (e una correzione: Simone Volpini non era «appassionato di latinoamericani»: solo di tango argentino).