Quando il viso di Silvia mi appare sullo schermo del computer, vedo una piccola testa rotonda e due grandi occhi accesi su un sorriso che si apre subito, bianco e largo. Della nostra conversazione a distanza, questa immagine delicata, come di una bambina fiduciosa, è il primo ricordo che ho.

Fa cinquant’anni, Silvia, proprio quest’anno.

Ė maestra, lavora in una scuola primaria di Rimini, ma una delle prime cose che mi dice di sé è che il sistema della scuola statale non la rappresenta per quel che riguarda la burocrazia, e soprattutto i contenuti: la scuola primaria, mi dice, dovrebbe tornare a essere quel che era e dare davvero ai bambini basi solide che li mettano in condizione di imparare qualsiasi cosa in seguito. Me la raffiguro allora – non so perché, – mentre va a lavoro a piedi, minuta e sottile, con una grossa borsa a tracolla colorata, passetti svelti e precisi.

Passetti, ecco all’istante il movimento che visualizzo: Silvia, per buona parte del suo tempo libero, è una ballerina di tango argentino. Le piacciono anche il teatro, la musica jazz e le serie tv, ma è il tango ad averla sedotta tanti anni fa e ad animare la sua vita ancora oggi. Ed è nel tango che io l’ho conosciuta, come anche Loriana e Caterina, altre due donne-albero che hanno accettato di partecipare al Kintsugi Project.

Il tango, croce e delizia al cor: nella dozzina d’anni in cui ne ho frequentato assiduamente la comunità, prima a Roma e poi qui a casa, tra Abruzzo e Marche, mi ha dato e portato via molto – amori, amicizie, viaggi, ardori e pene parimenti consistenti. Ė un pianeta difficile da raccontare a chi non lo abita, e non lo racconterò qui. Oggi sono una dei tanti fuoriusciti, e me ne sto come una rifugiata.

“La vita è quella cosa che ti capita mentre fai progetti”

Anche a Silvia il tango ha procurato qualche dispiacere quando il progetto Las Chicas ha chiuso bottega: l’evento di ballo organizzato a Santarcangelo di Romagna, insieme a quelle che lei considerava tra le sue più care amiche, a un certo punto ha fallito. Succede ai progetti complessi, soprattutto quando sono portati avanti da più persone. Questo intoppo, però, ha inaspettatamente messo in luce la fragilità dell’amicizia con un paio di loro – nulla che abbia impedito l’empatia nel momento in cui Silvia si è ammalata, ma senz’altro la rottura del legame nel quale lei credeva le ha dato tristezza. Non so se Silvia viva le rotture come le vivo io: se sì, è lutto.

Lei però, al contrario di me, il tango non lo ha abbandonato, anzi: quest’anno, tra una chemioterapia e l’altra, è andata a ballare con il rossetto rosso, il sorriso e la sua piccola testa rotonda, nuda ed esposta.

La diagnosi di cancro al seno ha raggiunto Silvia alla fine di un anno faticoso, il 17 dicembre 2024.

Lei era impegnata in altri progetti, per esempio quello di portare a termine gli studi universitari iniziati e lasciati in sospeso tanto tempo fa. Studiava per la tesi di laurea in Scienze dell’Educazione e lavorava a scuola, ballava tango e troncava amicizie, aveva il suo da fare contro gli acufeni che le guastavano le giornate e spesso s’intristiva ancora per la perdita della gatta Coco.

Era stremata, Silvia, il giorno in cui le hanno detto che no, quello che già da un po’ di tempo le induriva il seno destro non era una mastite.

Dall’estate, in effetti, si era trovata questo grappolo appeso alla mammella e all’inizio le avevano detto: su, non è niente di grave, c’è da curare questa infiammazione e via. Eppure, la dolorosa mammografia aveva fotografato «una bistecca lunga dieci, undici centimetri» (sic).

Mastite non era. In tempo per Natale, Silvia ha ricevuto il referto dell’esame istologico.

Carcinoma infiltrante G3, luminale di tipo B, con un indice di proliferazione del 90% e linfonodo sentinella in metastasi. M’è venuto da complimentarmi per l’indice di proliferazione, io avevo solo il 60% – tra pazienti oncologici, la questione è su chi ce l’ha più alto.

Dopo molti pianti, a Capodanno Silvia è andata a ballare e ha fatto pure la capotreno del trenino di mezzanotte. Mi ha mandato una foto che ho deciso di non usare perché né io né lei siamo state capaci di mimetizzare bene altre persone nell’inquadratura senza rovinare l’immagine. Provo ad abbozzarla: Silvia guida il treno fasciata in un elegante abito nero essenziale, su cui spicca solo il brillore di un ciondolo; ha in testa un cappellino festaiolo a forma di cono d’argento glitterato e in mano un flûte di spumante. Ha i capelli scuri lisci fino alle spalle e la frangia, gli occhialoni con la spessa montatura nera cat-eye (o farfalla?). Ha messo il suo rossetto rosso e il sorriso aperto, guarda altrove. Chissà a cosa pensa.

L’inizio delle cure

All’inizio di quest’anno è partito il protocollo, bellicoso naturalmente, identico al mio della prima volta: innanzitutto, scintigrafia ossea e TAC per setacciare il resto del corpo alla ricerca di metastasi (attese con orrore anche dai medici, ma per fortuna assenti). Poi raffiche di chemioterapia neoadiuvante per stordire il Granchio prima dell’intervento di mastectomia: i quattro cicli di EC (le famigerate sacche rosse) e i dodici cicli settimanali di taxolo, che io ricordo benissimo. Silvia mi dice di aver patito pochi effetti collaterali, i globuli bianchi sono crollati più di una volta facendole posticipare le date dei trattamenti, ma nel complesso se l’è cavata bene.

Mentre mi racconta delle terapie, le viene da ridacchiare: «L’ospedale ce l’ho di fronte casa, – dice, – devo solo attraversare la strada!». Non è un dettaglio da sottovalutare per un paziente oncologico che inizia il suo percorso di cure: penso ai nove, dieci euro a settimana pagati per il parcheggio del mio ospedale. Silvia, che sa apprezzare i dettagli, si rende conto della comodità della sua situazione abitativa affacciata proprio davanti a quella che per molti mesi sarà la sua seconda casa – non avete idea, voi sani, di quanti accessi ospedalieri in un mese possa contare un paziente oncologico, fra terapie, emocromi, visite di controllo ed emergenze.

I capelli di Silvia, malgrado il tentativo di ricorrere al casco refrigerante, sono caduti già al secondo ciclo.

«Anche a me», le dico: era il primo weekend di maggio 2023 e pensai molto a Michela Murgia (sarebbe morta il 10 agosto di quell’anno). «Osservavo la testa che si svuotava, – mi racconta Silvia, – veniva giù una ciocca per ogni carezza e io ero molto avvilita. Sono andata a rasarmi con l’idea di fare un video come quello della Murgia». Invece no, è venuto giù il pianto universale. Ma poi è stato tutto un tripudio colorato di turbanti, berretti, parrucche, e spesso anche niente, cranio libero: «Mi sono condivisa presto senza capelli, mi sono accettata e sono andata a ballarci alla Tosca». La Tosca è un altro evento ben noto alla comunità tanguera nazionale e internazionale.

La parola che Silvia dice più spesso: condividere

Come moltissimi pazienti oncologici, me compresa, Silvia ha iniziato a raccontare l’esperienza della malattia e delle cure sul suo profilo Facebook. Lo fece anche Severino Cesari, che cito spesso in questo blog, e da quei suoi post è nato un libro che, grazie al suggerimento di una mia lettrice, mi ha accompagnato quest’anno nella mia ricaduta: Con molta cura. La vita, l’amore e la chemioterapia a km zero. Un diario 2015-2017 (Einaudi, 2021). Leggetelo.

Lo hanno fatto anche altre persone meno note di Severino Cesari, per esempio Anna Solaro, attrice e regista del Teatro dell’Ortica di Genova, che aveva iniziato anche lei da piccoli post su Facebook. Ho messo gli stivali gialli è il titolo del libro che ne è venuto fuori, pubblicato postumo come nel caso di Severino. Questi e altri esempi di come la malattia possa – nei pochi casi editorialmente felici, – diventare occasione narrativa sono elencati nella pagina del Laboratorio di questo blog.

Silvia e Crisalide

Silvia tiene tuttora un diario social del suo percorso di cure. Nei post racconta, testimonia, scherza, e condivide anche il suo prezioso legame con Crisalide, associazione riminese di donne operate al seno molto attiva sul territorio. In Crisalide, Silvia ha trovato sostegno e nuove amicizie. È stata Stefania, la sua maestra delle elementari, ad accompagnarcela la prima volta. Con le donne di Crisalide si è creata una condivisione che ha incoraggiato molte di loro a mostrarsi in pubblico, fragili e pelate, e a organizzare ritrovi festosi, per esempio quelli in occasione della fine della chemio.

Silvia sta per andare in sala operatoria

Ha completato i suoi cicli di chemio lo scorso 9 luglio ed è ora in attesa di sapere la data del suo intervento di mastectomia, che sarà nei primi giorni di agosto. Il mio è stato il 24 ottobre 2023 e pare che abbia tanto in comune con quello che vivrà Silvia.

Ha paura, certo, come tutte, come chiunque sappia che ne uscirà con un seno in meno e parecchi linfonodi decimati. Rimarrà una cicatrice, che è sempre segno di una storia. Sarà crepa d’oro del suo personale e unico Kintsugi.

Per la parte corale del Kintsugi Project, quella di Silvia è la sesta delle storie delle donne-albero e arriva dopo una lunga pausa da questo mio piccolo progetto inserito nel blog due anni fa. Le sono grata.

Tra le foto che Silvia mi ha mandato ho scelto questa perché, come ha detto lei, è bello quel sole su un occhio.

La canzone di Silvia

Alla fine delle mie conversazioni con le donne-albero, chiedo sempre di scegliere una canzone che accompagni la loro storia. Silvia ne ha scelta una di Cesare Cremonini, Buon viaggio.


Kintsugi Project: come farne parte

Basta contattarmi all’indirizzo annalisa@progettokintsugi.it. Tutto qua.

Il testo finale viene sempre inviato alla persona interessata per la sua approvazione prima di essere pubblicato qui e diffuso sui social.

Grazie a chi vorrà farsi avanti e mantenere in vita il progetto.

[Nota per chi conosce e segue il blog con costanza e affetto: la conversazione in videochiamata con Silvia risale all'11 luglio. La sua è la prima delle storie delle donne-albero che provo a scrivere dopo il 13 giugno, nel mio Nuovo Mondo. È stato difficile raccontare una storia che non è la mia, concentrarmi su una scrittura diversa, con un taglio diverso. Ringrazio Silvia anche per questo, perché mi ha aiutato a farmi spostare lo sguardo almeno per un po']