Considerare un’ipotesi di futuro vivibile, adesso, in questo momento, è o non è un compito gravoso? Ed eccola qui, la finaccia piagnona, ecco quell’imbarazzante “problema dell’autocommiserazione” che Joan Didion si appuntava pochi giorni dopo la perdita del marito John, e che è anche preludio a quel vittimismo disfunzionale e lamentoso che fa la fortuna di tanta narrazione odierna. È un’insidia costante, una ragionevole tentazione. Ma davvero: come provare anche solo a desiderarlo, il tempo a venire, se ho il sospetto che per me il meglio sia già venuto?
joan didion
Serie 6, post #5. Il primo giorno del resto della mia vita
Tra un paio di settimane farò la TAC di controllo e poi a settembre sarà il mio compleanno. Compio 44 anni e, per il momento, non so che farmene della vita davanti, quella che m’avanza. Nel suo libro “L’anno del pensiero magico”, Joan Didion individuava il primo giorno del resto della sua vita nell’atto di pulire il suo studio dopo la morte del marito John. Mi è venuto da pensare al primo giorno del resto della mia vita. Quale potrebbe essere?
Serie 5, post #13. Una sera ti metti a tavola…
Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita. Lo ha scritto Joan Didion. L’istantaneità del passaggio dalla normalità alla catastrofe, dopo il quale tutta la vita viene ripensata, riconsiderata, riformulata: questo, il centro narrativo. È una questione che mi interessa da che ho memoria, ma su cui ho iniziato a scrivere qualcosa soltanto dopo la malattia.