Qualche giorno fa ho rivisto La stanza accanto, l’ultimo film di Almodóvar.
Una cerea e androgina, bellissima Tilda Swinton interpreta Martha, che è malata di cancro e chiede all’amica Ingrid – luminosa Julianne Moore – di farle compagnia negli ultimi giorni della sua vita, cioè fino al momento in cui ingoierà la pillola acquistata illegalmente per procurarsi una buona morte, «asciutta e pulita». Così le due amiche, che si conoscono da tanti anni e hanno condiviso molto (anche un amante), si ritirano insieme in una confortevole casa nel bosco. Martha è una corrispondente di guerra e Ingrid un’autrice di romanzi: tutte e due lavorano con le parole.
C’è una scena molto bella e precisa in cui, durante un sera di finestre aperte e frinire di grilli, Ingrid rientra dal giardino e trova Martha seduta alla scrivania: sta provando a scrivere, dice, ma non ci riesce, è incapace di scrivere qualsiasi cosa. «E leggere invece? – le suggerisce allora Ingrid, – A te leggere piace tanto!», le ricorda con un sorriso affettuoso. «Ci ho provato, – risponde lei, – con alcuni dei miei scrittori preferiti». E, mentre un’inquadratura perfetta si concentra sul suo viso scavato, Martha prosegue molto lentamente, facendo piccole pause tra una frase e l’altra, quasi a comporre a strati, un elemento alla volta, una verità sulla malattia:
È sparito, l’incantesimo non c’è più. E sto parlando di Faulkner, Hemingway. Non riesco a concentrarmi, la mia mente se ne vola, nel vuoto.
In questa scena non c’è solo la bellezza stilistica che Almodóvar ha messo in quasi tutto il film. Come malata di cancro in terapia, io colgo (o aggiungo) un riferimento, non so quanto consapevole e intenzionale da parte del regista, alla nebbia mentale causata dalla chemio, una nebbia che la ricerca oncologica chiama Chemo Brain Fog, alla quale ho fatto cenno più di una volta.
Chemo Brain Fog: la mente se ne vola nel vuoto
Da quando ho cittadinanza nel mondo della malattia, quindi dall’inizio del 2023, ho accumulato un centinaio di libri da leggere, fra quelli che ho acquistato io e i molti che ho ricevuto in regalo soprattutto durante le prime chemioterapie. Ne ho iniziati forse una metà, ne ho finiti credo una quindicina. L’ultimo libro che ho letto dall’inizio alla fine, e con il fervore di una volta, è stato Lo sbilico di Alcide Pierantozzi: nei primi giorni di giugno, quattro mesi fa.
Ho provato allora con alcuni dei miei scrittori preferiti, come dice Martha. Ho provato a rileggere libri già letti, libri amati – perlopiù romanzi, di cui principalmente mi nutro, moltissima narrativa italiana contemporanea, tanti americani. Mi sono anche rivolta alla poesia, che ho sempre frequentato poco, confidando che leggere una poesia soltanto, piluccare senza fame, mi avrebbe almeno tenuto vicina alla lettura, in quel luogo caro dove, mi ricordo, me ne andavo, me ne andavo lontano e nessuno mi poteva trovare finché non tornavo. Con quell’animo, quando si poteva, leggevo in una notte storie di trecento, quattrocento pagine. Ecco tre ricordi di meravigliose notti in bianco: Davide Longo, L’uomo verticale (Einaudi 2022, ma prima Fandango 2010); Domenico Starnone, Autobiografia erotica di Aristide Gambía (Einaudi 2011) e ancora Starnone, Lacci (Einaudi 2014) – Starnone è per me il più bravo dei romanzieri italiani viventi.
I libri mi hanno sempre aiutato a sopportare la vita. Adesso quello che mi aiuta meglio a sopportare la vita è dormire. È la nebbia nella testa, ne sono sicura, è la mente che se ne vola nel vuoto, l’incantesimo che non c’è più. Ma non è solo questo, non è soltanto uno degli effetti delle chemioterapie. C’è altro.
«Tutto il piacere ormai è ridotto»
Nella scena fra Martha e Ingrid, il dialogo prosegue. Ingrid, che con i suoi lunghi capelli color rame abita comodamente il regno dei sani, propone: «Se sei stanca, leggo io per te». Martha allora fa uno sguardo che secondo me faccio anch’io quando qualcuno del regno dei sani propone una soluzione pratica a un dilemma esistenziale. Martha dice:
Non è solo leggere. Tutto il piacere ormai è ridotto. Non è facile capire a cosa prestare attenzione ultimamente. Ho pochissimo tempo e non voglio sprecarlo.
«La malattia mi ha ridotto a pochissimo di me stessa»
Nello stesso dialogo, poco dopo Martha dice anche questa frase: «La malattia mi ha ridotto a pochissimo di me stessa». Quel superlativo, nel doppiaggio italiano, viene ripetuto a distanza di un minuto: pochissimo tempo, pochissimo di me stessa.
È una frase precisa, perfetta, di cui un paziente oncologico farebbe bene ad appropriarsi per aiutarsi a esprimere questo: la malattia depaupera e sottrae, immiserisce e riduce l’essenza della persona. Rimane pochissimo: nel mio caso, forse, certe venature di ironia, l’amore per il vero, qualche libro. È tutto, mi pare.
La fatica di leggere

Martha, alla fine, se ne va asciutta e pulita come voleva lei, con l’eleganza di un rossetto rosso e uno smoking giallo limone. Ingrid la trova così, sdraiata su un lettino in giardino, in una posa da imperatrice addormentata. Sebbene Martha non abbia potuto godere della lettura durante la malattia, sono piuttosto sicura che – fra le molteplici sorgenti di energia e di significato cui come esseri umani abbiamo bisogno di attingere, – sono stati anche i libri letti in passato, nella sua vita di prima, a fornirle le risorse necessarie a pensare, meditare, affrontare lo scorrere dell’esistenza così come la sua fine.
È per questo che mi rammarico molto di non riuscire a leggere come prima: non so godere di una così buona compagnia proprio adesso che ne avrei tanto bisogno. Quando vado a fare le terapie, porto sempre un libro con me, ma i farmaci mi fanno addormentare. La sera, a letto, lo tengo tra le mani per un po’, forse nella speranza di riuscire a concentrarmi o solo per sentire almeno l’odore della carta, prima di scivolare nel sonno. A volte leggo distrattamente due o tre pagine, poi mi accorgo di fissare le parole come se vedessi dei segni mai visti prima, indecifrabili. È molto spiacevole, come non riconoscere più un posto familiare, dove sai di essere stato felice ma di cui non riesci a ricordare granché. C’è questa confusione mentale, questo stato di stordimento, questa nebbia nella testa che non se ne va, appanna tutto.
Lo sforzo di scrivere
Mi accade troppo spesso anche con la scrittura: le parole mi sfuggono, non le vedo apparire con facilità sullo spazio bianco né le sento risuonare come normalmente mi succede. Allora mi accontento di una specie di riassunto, di appunti, di parole poco sentite e poco indagate rispetto alla mia consuetudine di interrogare la lingua. Mi accorgo, inoltre, d’avere un minore controllo sulla struttura della frase, sull’architettura di un periodo, e sulla sua musicalità. Questo mi stanca e mi procura un’insofferenza pari a quella procurata dall’incapacità di leggere.
Ma provo, insisto, mi danno, sento frustrazione, torno e ritorno sulle bozze di questo blog, sugli appunti per una nuova storia del ciclo delle donne-albero, quella di Simona, che ho già incontrato di persona e di cui ho già raccolto la testimonianza.
Non ricordo alcune parole quando mi servono, le so ma non affiorano, non si presentano al cospetto della scrittura.
Assomiglia a un sintomo di Alzheimer, invece è Chemo Brain Fog. È terribile. Ed è anche una rogna quando scrivo invece per lavoro, fuori dallo spazio libero e personale che è questo blog, e vengo dunque pagata per farlo e ho delle scadenze. Dizionari dell’uso, dizionari dei sinonimi e dei contrari, dizionari analogici, dizionari delle collocazioni, liste di parole, mi appello a ogni ferro del mestiere e aspetto, aspetto che la nebbia passi. Mi mando messaggi su WhatsApp per ricordare.
Mi appanno non solo quando scrivo, ma anche quando parlo: a volte, una parola che voglio dire resta appesa da qualche parte, il cervello si confonde e ne pesca un’altra che non c’entra proprio niente.
Non mi viene mai in mente di farmi aiutare dall’intelligenza artificiale: a lei chiedo altre cose, per esempio di dirmi tutto ciò che sa sul lutto. Le parole sono una faccenda mia, mi devo impegnare, non posso perdere anche loro, sono tutto ciò che mi rimane.
Questo sì che mi fa paura, altro che morire: svanite le parole, cosa resta di umano?
[Immagine in copertina: è una foto scattata da me a una parte della mia libreria. Questo post era in bozza da circa tre settimane, insieme ad altri. Via, bisogna lasciarlo andare com'è.
La Chemo Brain Fog non è solo ottimo materiale narrativo, è una realtà. Per chi ha curiosità di saperne di più: "Chemo Brain: gli effetti della chemioterapia sulle funzioni cognitive", oppure: "Cervello chemio e nebbia cerebrale"]
Tutto quello che hai letto e tutto quello che potresti ancora e’ qui nella tua scrittura. Per me sublime.
Grazie Barbara, magari tu fossi la mia agente!
Hai visto che è uscita una cosa nuova di Starnone? Einaudi lo presenta con una roba tipo “Cosa succede se mandi per sbaglio un messaggio con scritto ‘Ti amo’ a una collega e lei risponde ‘Finalmente, ti amo anch’io”. Sounds interesting, me sa (e scusa come sempre per la sciatteria con cui mi presento qui ogni volta)
Sì, “Destinazione errata”, fresco fresco di stampa. Lo avevo preordinato in libreria e sono andata a prenderlo il giorno stesso della sua uscita, un trattamento che riservo a pochissimi scrittori. Però non ho ancora iniziato a leggerlo, ecco.
Ho visto ” La stanza accanto, struggente, duro, realista ma pieno di tenerezza e quella introvabile forma di rispetto difficile da raccontare. Tu invece racconti tutto in maniera unica, sei semplicemente TU nel modo più limpido per un essere umano.
Grazie per essere una lettrice di questo blog, Giulietta. Sì, il film è duro e tenero insieme.
Ho passato un periodo, e per certi versi ci sono ancora dentro, in cui compravo libri senza avere la forza di superare pagina 50. Poi la mente vagava per conto suo. Il problema è che la vita di prima sembra così lontana. Io ho capito solo che sta tutto in come vediamo le cose…solo facendo un lavoro interiore si può cambiare il modo di guardare.
Melon Stone, nel mio caso il lavoro interiore c’entra poco con la nebbia mentale da chemio: è chimica. Leggi gli articoli che ho linkato nella nota in fondo al testo. Che poi in me ci sia anche del disagio psichico, è indubbio. Grazie sempre per la tua lettura.
Certamente Annalisa. Facevo solo un paragone